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Pagine Italiane, 4. 12. 2017
Presidente Nucci, Rettore Ubertini, Presidente Trifirò, professori, distinti ospiti, signore e signori,
È un piacere e un onore per me essere nella vostra storica città. E’ un onore ricevere sia il Premio Impegno Civico sia la Medaglia d´onore dell´Accademia delle Scienze. Sono veramente lieto di avere la straordinaria opportunità di rivolgermi a questo pubblico così distinto in questa sala tanto bella.
Io ho visitato Bologna solo una volta nella mia vita. È stato oltre due decenni fa, mentre andavo a una conferenza economica organizzata dal Premio Nobel Robert Mundell. Ricordo che discutevamo di questioni molto sofisticate di politica monetaria. Non temete, non sarà questo il mio argomento qui, questa mattina, anche se mi piacerebbe molto parlare delle politiche irrazionali e pericolose per il nostro futuro messe in atto dalla Bce.
Credo sia giusto rivelare il rapporto specialissimo che ho con l’Italia. Oltre mezzo secolo fa, nel 1966, fui selezionato dal governo italiano per partecipare a un corso post-laurea a Napoli, all’Istituto di studi per lo sviluppo economico, ISVE. Scopo di questo progetto era di portare in Italia dei giovani (eravamo in 36 da 25 paesi diversi) che avessero il potenziale di arrivare a posizioni importanti nei rispettivi paesi e restare buoni amici dell’Italia.
Non ho controllato i cv dei miei ex-compagni ma credo che – con la carriera politica menzionata prima – mi sono rivelato una buona scelta, un buon investimento. I soldi dei contribuenti italiani non sono andati totalmente perduti. L’unico problema è che il corso è stato sia in inglese sia in italiano e per questo non ho imparato la vostra lingua sufficientemente bene.
Gli anni sessanta sono stati piuttosto complicati. Il mio soggiorno a Napoli, la mia primavera a Napoli, è rimasta l’ultima per 25 anni. Il motivo è collegato all’argomento del mio discorso di oggi.
Come conseguenza degli sviluppi dell’epoca della Primavera di Praga e soprattutto come risultato della fine tragica imposta dall’occupazione ostile sovietica della Cecoslovacchia nell’agosto 1968 fui buttato fuori dall’Accademia delle Scienze ceca – essendo considerato uno dei principali studiosi anti-marxisti e un oppositore esplicito dell’invasione del mio Paese da parte degli eserciti del Patto di Varsavia. A causa di ciò non mi fu permesso di recarmi in Occidente per i successivi due decenni.
Il mio successivo viaggio in Italia fu pertanto all’inizio degli anni Novanta. Io venni qui già da Ministro delle Finanze della Cecoslovacchia finalmente libera (ero invitato al Forum Ambrosetti tenuto a Villa d'Este, a Cernobbio, sulle rive del bellissimo Lago di Como).
Questo mi porta al mio argomento di oggi. Tre settimane fa abbiamo commemorato il centesimo anniversario di uno degli eventi più importanti - e nelle sue conseguenze disastrose e rovinose uno degli eventi più malvagi del ventesimo secolo, la cosiddetta Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre. Per uno come me, il comunismo non era solo un campo di studi accademico o un oggetto di curiosità. Non lo guardavo come un osservatore passivo da lontano. Ebbi il triste “privilegio” di trascorrere 40 anni della mia vita in un simile sistema.
Perdemmo molto in quell’epoca ma imparammo anche molto. Questa esperienza ci ha aguzzato la vista. La nostra vita sotto il comunismo ci ha dato un’opportunità unica per guadagnare una conoscenza profonda e intima di un sistema politico ed economico altamente centralizzato, oppressivo e antidemocratico, dirigista e interventista nella sua forma più pura.
Questi “occhi aguzzi” sono ancora con noi. Li usiamo quando guardiamo il mondo attuale e, soprattutto, quando guardiamo la realtà politica ed economica contemporanea in Europa (e in tutto l’Occidente) che è andata acquistando gradualmente un numero sempre crescente di caratteristiche che rassomigliano al nostro passato comunista.
Dobbiamo mettere a frutto la nostra esperienza passata. Al contrario di molti osservatori vissuti al momento della caduta del comunismo nell’Occidente libero, non eravamo del tutto sorpresi che uno dei sistemi più irrazionali, oppressivi, crudeli e inefficienti della storia avesse cessato di esistere così improvvisamente e in modo relativamente silenzioso. Ci rendevamo bene conto che il regime comunista era già a quell’epoca sotto molti punti di vista un guscio vuoto. Sapevamo anche che negli ultimi stadi del comunismo praticamente nessuno nei nostri paesi credeva ai pilastri originali della sua ideologia, nel marxismo e nel suo derivato, la dottrina comunista.
Il comunismo si è sciolto (o è deceduto), non è stato sconfitto. Ci sono persone e gruppi di persone che affermano di aver sconfitto loro il comunismo. Questo è molto controverso. Non dobbiamo coltivare nuove leggende (o narrazioni auto-giustificative).
Ci siamo già distanziati di oltre una generazione dalla fine del comunismo. Sentiamo il dovere di mantenere vive le memorie. Dobbiamo continuare a ricordare alle generazioni sia attuali che future di tutte le crudeltà e le atrocità dell’era comunista. Tuttavia è anche necessario interpretare correttamente gli stadi finali, sotto molti aspetti più miti, del comunismo.
Senza di ciò, è difficile capire la fine piuttosto improvvisa e incruenta del comunismo, comprendere tutti i principi della transizione post-comunista, e – soprattutto – osservare con precisione l’epoca attuale.
Una delle conseguenze della rapida sparizione del comunismo è che abbiamo smesso di discutere e di analizzare il comunismo, soprattutto le sue ultime fasi, il suo graduale indebolimento, svuotamento e ammorbidimento, oltre alla sua completa rinuncia a difendersi o, fortunatamente, a restituire i colpi. Gli unici libri e studi che hanno continuato a essere pubblicati sul comunismo hanno riguardato i primi e molto più brutti periodi, riguardanti l’epoca “gulag” in Unione Sovietica o gli anni Cinquanta in altri Paesi comunisti dove la gente veniva uccisa, non solo incarcerata o licenziata dal lavoro.
Quando io suggerisco che da molti punti di vista stiamo tornando indietro, non voglio dire verso il marxismo e il comunismo. Non trovo che c’entri molto studiare le opere degli intellettuali contemporanei e ricercare le tracce della loro ispirazione nel marxismo e nel comunismo. Non vedo alcun “Risorgimento marxista” o cose del genere oggi.
C’è qualcos’altro che mi disturba. Io vedo il risorgere di idee similmente pericolose portate avanti sotto altri nomi e basati su motivi e argomenti diversi. I loro esponenti negherebbero furiosamente qualsiasi legame con il marxismo e il comunismo. Molti di loro sono stati per lungo tempo anti-marxisti e anti-comunisti.
Il mondo contemporaneo è caratterizzato da molti aspetti che mi ricordano i vecchi tempi comunisti. Io vedo un declino visibile della libertà e una mancanza irresponsabile di interesse nella libertà e nella democrazia parlamentare autentica. Questo non lo chiamo un ritorno al comunismo.
Dove trovo i tratti principali di questo sviluppo?
1. Li trovo in un trasferimento di potere da rappresentanti eletti alla burocrazia non eletta, da autorità locali e regionali a governi centrali, da legislatori a funzionari, dai parlamenti nazionali a Bruxelles (e Strasbourg), che insieme significa dal cittadino allo stato.
2. Li trovo in una crescita esponenziale della regolamentazione cumulativa e controllo di ogni tipo di attività umane. Lo stato regolamentatore e amministrativo ha cominciato a toccare anche le sfere intime e molto personali delle nostre vite, non solo il campo economico come succedeva in passato.
3. Li vedo e li osservo nella sostituzione della libertà con i diritti. L’ideologia dei diritti– io la chiamo dirittumanismo – è diventata la base di un nuovo modello di società, dei suoi sistemi istituzionali, dei suoi principi guida. Fa parte dell’illusione eterna di tutti i non-democratici di abolire la politica.
4. Li trovo nella crociata vittorioso dell’ambientalismo e dell’allarmismo riguardo al riscaldamento globale[1]. Io sono d’accordo con l’autore francese Pascal Bruckner che “tutte le sciocchezze del bolscevismo e del marxismo sono riformulate nel nome della salvezza del pianeta”.
5. Li vedo anche nelle trionfanti crociate del femminismo e del genderismo, del multiculturalismo, del politicamente corretto e di altri “ismi” e dottrine del genere.
È difficile trovare un minimo comune denominatore per tutti questi nuovi “ismi”. Non è il marxismo. Dobbiamo risalire più indietro nella storia. Io vedo le radici ultime dell’attuale infatuazione (e confusione) intellettuale nella Rivoluzione francese (o fra i pensatori francesi che avevano ispirato la rivoluzione).
Dalla Rivoluzione francese abbiamo ereditato l’idea di progresso, di progressismo, e, molto recentemente, di progressismo transnazionale. Viviamo in un’epoca in cui si adora il progresso putativo, l’uguaglianza, la giustizia e il vuoto moralismo, in un’epoca di disprezzo per i risultati delle elezioni e dei referendum, in un’epoca di falsa solidarietà e di adorazione per tutto ciò che ha il prefisso global, “multi” o “sovra”. Ciò ha portato all’attuale monocultura intellettuale di sinistra postmoderna. A causa di ciò, stiamo passando a un ordine post-Occidente.
Di conseguenza, l’Occidente è entrato nella fase critica del suo relativo e graduale declino. Si commetterebbe un errore a focalizzare l’attenzione sui nemici esterni o quasi-nemici, siano essi russi, islamici o le restanti isole di comunismo. L’Occidente è attaccato prevalentemente dall’interno, da noi, dalla nostra mancanza di volontà, dalla nostra mancanza di determinazione, dalla nostra mancanza di coraggio, dai nostri intellettuali pubblici, dalle nostre università, dai nostri mass media, dai nostri politici politicamente corretti.
Il Presidente Trump ha detto recentemente a Varsavia che “la questione fondamentale del nostro tempo è se l’Occidente abbia la volontà di sopravvivere”. Egli ha chiesto: “Noi abbiamo il desiderio e il coraggio di preservare la nostra civiltà?” Io non trovo esagerate queste parole. Sono molto puntuali. Spero che la gente di Bologna abbia le stesse preoccupazioni o ne abbia di simili.
Molte grazie per la vostra attenzione. E grazie per il premio che mi avete conferito.
Václav Klaus, Lectio magistralis in occasione del conferimento del Premio Impegno Civico 2017, Sala Ulisse dell’Accademia delle Scienze, Bologna, 2 dicembre 2017.
[1] Guarda il mio “Pianeta blu non verde. Cosa è in pericolo: il clima o la libertà?”, IBL Libri, Milano, 2009, e il mio nuovo libro “Zničí nás klima nebo boj s klimatem?”, Grada, Praga, 2017 (solo in ceco).
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