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Pagine Italiane, 15. 7. 2013
Osservo i problemi europei da Praga. La Repubblica Ceca fa parte dell'Europa, è un membro dell'Unione Europea e un non-membro dell'Eurozona. È importante differenziare queste tre entità e le tre diverse forme di partecipazione ad esse. Dal mio punto di vista, l'attuale situazione economica in Europa è una diretta conseguenza sia del sistema economico e sociale europeo che non funziona, sia degli accordi istituzionali della Ue, sempre più centralistici e burocraticamente invadenti. Insieme, formano un ostacolo cruciale per ogni ulteriore sviluppo positivo. Si tratta di un ostacolo che non può essere rimosso con correzioni marginali (o con cambiamenti di facciata) o, in ultima istanza, mediante politiche economiche a breve termine più razionali. I problemi sono troppo profondi per azioni di questo genere. Per risolverli, serve qualcosa d'altro.
Per un economista, che - almeno spero - comprende il ruolo dominante di un sistema economico in termini di performance economiche, è più che evidente che lo stesso sistema economico e sociale europeo, la sua economia sovra-regolamentata, vincolata per di più da un pesante carico di norme sociali e ambientali, e che opera in un contesto di stato sociale paternalistico, non può crescere. Un simile fardello è troppo pesante, e gli incentivi al lavoro produttivo sono troppo deboli. Se l'Europa vuole riprendere il suo sviluppo economico, deve intraprendere una trasformazione fondamentale, un cambiamento sistemico, qualcosa che nella nostra parte d'Europa abbiamo dovuto compiere vent'anni fa - una radicale e ampia de-politicizzazione, de-regolamentazione, liberalizzazione e de-sussidiarizzazione dell'economia.
L'altra parte del problema è il modello di integrazione europeo. L'eccessivo e innaturale accentramento, l'armonizzazione, la standardizzazione e l'unificazione del continente europeo basati sul concetto di "un'Unione sempre più stretta rappresenta un altro ostacolo fondamentale. Queste complesse problematiche meritano di essere discusse da molti punti di vista, ma è evidente che hanno trovato il loro "climax" nel tentativo di unificare l'intero continente a livello monetario. A quel punto i costi del progetto di integrazione europea hanno iniziato a superare visibilmente i suoi benefici.
L'evidente fallimento del progetto della moneta unica, ed è appropriato definirlo tale, era inevitabile, era un evento atteso, ed è stato ben compreso in anticipo da molti di noi, così come lo sono state le conseguenze di questo fallimento - soprattutto per i Paesi europei economicamente più deboli, abituati, in passato, ad essere sottoposti a poco felici, quanto necessarie ed inevitabili svalutazioni delle loro monete. Tutti gli economisti degni di questo nome erano consapevoli del fatto che la Grecia ed alcuni altri paesi, poichè imprigionati in un tale sistema, erano destinati a fallire.
I benefici - promessi come risultato dell'accettazione di una moneta comune - non sono mai arrivati. La crescita attesa negli scambi internazionali e nelle transazioni finanziarie è stata contenuta ed è stata più che compensata dagli enormi costi di questo regime.
In condizioni ottimali (in senso economico), anche le zone monetarie non perfette possono funzionare, come hanno fatto, per un po', tutti i tipi di regimi basati sul tasso di cambio fisso. Quando la situazione è peggiorata - come con la crisi finanziaria ed economica, alla fine dello scorso decennio - tutte le incongruenze, le debolezze, le inefficienze, le discrepanze, le disparità e i disequilibri sono diventati evidenti e l'unione monetaria ha smesso di funzionare correttamente. E non è certo da considerarsi una sorpresa. In passato, tutti i regimi a cambio fisso (come il sistema di Bretton Woods) hanno avuto bisogno di riallineamenti dei tassi di cambio prima o poi, un argomento, questo, presente in ogni testo elementare di economia. Le aspettative, per meglio dire i desideri o sogni, sul fatto che un'economia europea tanto eterogenea sarebbe stata resa omogenea per mezzo dell'unificazione monetaria si sono rivelati sbagliati. Le economie europee, dall'introduzione dell'euro, sono andate verso direzioni non convergenti, bensì divergenti. Nel discutere degli attuali problemi europei, è sbagliato concentrarsi sui risultati o i fallimenti dei singoli Paesi, ad esempio la Grecia o qualsiasi altro Paese del Sud Europa. La Grecia non ha determinato l'attuale problema europeo, la Grecia è vittima del regime monetario dell'Eurozona. Il sistema è il problema. Quando ha accettato l'euro, la Grecia ha compiuto un tragico errore. Tutto il resto era ed è il suo comportamento abituale, che non ho alcun diritto di criticare. Permettere a questo Paese di lasciare l'Eurozona - in forma strutturata - potrebbe essere l'inizio di un lungo cammino di questa nazione verso un futuro economico sano.
Per concludere, l'Europa è matura per una decisione fondamentale: i cittadini europei devono continuare a credere nel dogma che la politica possa dettare l'economia e continuare a difendere la moneta comune ed altri accordi simili, a qualsiasi costo, o devono finalmente accettare il ritorno alla razionalità economica?
La risposta data dalla stragrande maggioranza dei politici europei a una simile domanda finora è stata sì, dobbiamo continuare. Spetta a noi dire loro che le conseguenze di una tale politica saranno costi sempre più alti per tutti e, alla fine, se sarà protratta nel tempo, porterà al collasso economico.
Václav Klaus, Il Sole 24 Ore, 11 luglio 2013
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