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Integrazione europea senza illusioni

Pagine Italiane, 19. 9. 2012

Magnifico Rettore, Chiarissimi Professori,
Signori Membri delle Autorità Napoletani,
Care Studentesse, Cari Studenti,
Signore e Signori,

Sono molto lieto di ritrovarmi, dopo un lungo periodo di tempo, nella Vostra bellissima città. Ed è un grande onore per me di poter parlare anche alla Vostra Università. La mia visita a Napoli fa parte della visita di Stato, per la quale sono stato invitato da un nativo di Napoli, dal mio buon amico, Presidente Napolitano.

E’ quasi incredibile, ma io fu nella Vostra città per la prima volta ed anche per l’ultima volta nell’anno 1966 /mille novecento sessanta sei/, quindi, ben quarantasei anni fa. Allora, avevo ricevuto una borsa di studio post-laurea per un corso semestrale sullo sviluppo economico organizzato esclusivamente per studenti stranieri dall’Istituto di Studi per lo Sviluppo Economico. Gli studenti venivano scelti con la speranza che in futuro diventassero buoni amici dell’Italia, il che, nel mio caso, è successo veramente. L’Istituto si trovava in uno degli edifici della Mostra d’Oltremare. Le lezioni si tenevano in italiano o in inglese. Purtroppo, per questa ragione non imparai l’italiano meglio.

In quel tempo, negli anni sessanta, i temi principali della scienza economica erano: crescita economica, fattori determinanti della crescita, cause della mancata crescita e sottosviluppo. Il Governo italiano scelse per questo corso – e non per caso – la città di Napoli, e uno degli sponsor principali fu la Cassa per il Mezzogiorno.

Già allora sentivo problemi connessi con la storica eterogeneità dell’Italia, del suo Nord industriale da una parte e del suo Sud meno sviluppato dall’altra, anche se in quel momento l’Italia unita esisteva, già, da più di cent’anni. In quel periodo visitai anche la Calabria e la Sicilia e vidi le differenze rispetto alle province del Nord.

Tutto questo, non lo dico per caso. Qualche settimana fa è stato pubblicato in italiano il mio libro intitolato Integrazione Europea senza Illusioni. Come tema fondamentale si pone la questione seguente: quale forma e quale profondità dell’integrazione scegliere per il continente europeo che ancora oggi risulta molto eterogeneo. La tesi iniziale del mio libro è abbastanza semplice: l’integrazione istituzionale europea cominciò, circa quarant’anni fa, a sorpassare il grado dell’esistente omogeneità reale del continente europeo. Il mio libro non critica singoli elementi del processo dell’integrazione europea, ma il suo progetto errato.

Questo è il tema chiave. Gli economisti – almeno da Robert Mundell e dal suo famoso articolo del 1961 /mille novecento sessant’uno/ – cercano di definire che cos’è l’area valutaria ottimale, dunque, l’area in cui è produttivo ed economicamente vantaggioso introdurre la moneta unica, e quando porta benefici economici e quando invece non li porta. Allo stesso modo è necessario cercare la struttura ottimale dell’assetto istituzionale in tutti gli altri progetti integrativi, non solo nel progetto della moneta comune.

Questo è necessario anche per l’analisi dell’integrazione politica, i cui effetti non possono essere misurati ovviamente con categorie economiche. Qui, il criterio decisivo è il grado della democrazia esistente nello spazio integrato – in comparazione con lo stato nazionale originario – il quale oggi è, senza alcun dubbio, minore rispetto al passato, e tutti in Europa lo sanno e sentono. Almeno spero. Per questo si parla di un deficit democratico – un’espressione eufemistica a mio avviso. Lo stato europeo sopranazionale è il governare senza cittadini. La cittadinanza é connessa solo con lo stato, mentre per il continente esiste solo l’abitante, e non il cittadino.

Nel mio libro cerco di argomentare che la profondità dell’unificazione europea, condotta sulla base di un’ipotesi sul vantaggio dell’unione sempre più stretta (ever-closer union), è insostenibile. L’ipotesi, che “più Europa e meno nazioni” è sempre ed in ogni caso meglio, è un errore storico e fatale per il quale paghiamo troppo caro.

Lo potrei dimostrare sull’analisi di molti problemi dell’Unione europea di oggi. Ma è chiaro che l’errore più grande è stata la creazione della moneta europea comune, dell’Euro, che ha collegato in un insieme paesi incompatibili come la Grecia con la Germania o il Portogallo con la Finlandia ed i Paesi Bassi. E’ stato un tentativo di assemblare i componenti di una Fiat 600 con una Alfa Romeo (o viceversa). Il fallimento di questo tentativo è oggi più che evidente.

Voglio dire con insistenza, che quello che succede in Europa negli ultimi decenni non fa parte di un processo storico che si sta imponendo oggettivamente e da cui non c’è scampo. No! Non è un processo inderogabile. Lo facciamo noi stessi. Per questo dobbiamo fermarci un attimo e cercare da che parte sta la strada giusta. Questa strada non sono i sempre più frequenti vertici organizzati a Bruxelles, che spengono incendi appena iniziati e che hanno, evidentemente, una visione miope. Questa non é la strada da percorrere.

Come bon mot si utilizza spesso l’espressione, che l’Europa si trova in un vicolo cieco. Credo, che questa affermazione debba essere esplicata. Un’impasse non offre andare avanti. Alla fine di un vicolo cieco resta solo tornare, in altre parole bisogna tornare prima dell’ultimo bivio, dove abbiamo fatto la scelta sbagliata. Sono convinto che questo è esattamente quello che deve essere fatto in Europa di oggi. E questo in due modi: fermare la soppressione dei paesi europei attuata con il trasferimento dei loro poteri a Bruxelles ed arrestare la proliferazione del paternalismo, quindi, abbandonare l’attuale modello dell’economia di mercato sociale ed ecologicamente orientata.

Se dovessi essere più concreto, sono convinto che gli europei dovrebbero cominciare ad introdurre radicali cambiamenti del sistema che devono includere le misure seguenti:

1. L’Europa deve liberarsi dal modello dell’economia sociale di mercato che é – come vediamo proprio in questi tempi – improduttivo e eccessivamente paternalistico.

2. L’Europa dovrebbe accettare che i processi di aggiustamento economico richiedono tempo e rendersi conto che i politici ed i governi impazienti di solito peggiorano le cose. I politici non dovrebbero cercare di dirigere i mercati né di “produrre” la crescita attraverso stimoli ed incentivi governativi.

3. L’Europa dovrebbe cominciare a preparare riduzioni complessive di spesa pubblica e dimenticare di flirtare con soluzioni basate sull’aumento di tasse. Le riduzioni devono fare i conti prevalentemente con le spese obbligatorie, perché i tagli alle spese discrezionali sono – come una soluzione a lungo termine – più o meno insignificanti dal punto di vista quantitativo.

4. L’Europa dovrebbe interrompere la strisciante, ma costante espansione della legislazione verde. Ai Verdi deve essere impedito di conquistare gran parte della nostra economia sotto la bandiera di idee difettive, tipo la dottrina del riscaldamento globale.

5. L’Europa dovrebbe eliminare l’eccessiva centralizzazione, armonizzazione e standardizzazione del continente e, dopo mezzo secolo di tali misure, iniziare a decentrare, deregolamentare e desovvenzionare la società e l’economia.

6. L’Europa dovrebbe rendere possibile ai paesi che sono vittime dell’unione monetaria europea di uscire dalla stessa e di ritornare ai loro assetti monetari propri.

7. L’Europa dovrebbe dimenticare i piani come l’unione fiscale o l’unione bancaria, per non parlare di ambizioni antidemocratiche di unificare politicamente l’intero continente.

8. L’Europa dovrebbe tornare alla democrazia che può esistere solo a livello degli stati nazionali e non a livello di tutto il continente. Questo richiede il ritorno dal sovranazionalismo all’intergovernalismo.

Con tutto questo bisogna cominciare immediatamente. Già oggi é tardi.

Grazie per la Vostra attenzione.

Václav Klaus, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli, 19 settembre, 2012

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